Ospedale Sant’Andrea: in sei anni, 490 vittime di violenza accolte nel Percorso dedicato

Una rete di protezione per chi denuncia abusi fisici e psicologici

Dal 2020 al 2025, sono state 490 le persone che hanno trovato ascolto, supporto e tutela all’interno del Percorso dedicato alle vittime di violenza e maltrattamenti attivo presso l’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea di Roma. Tra loro, 449 sono adulti e 41 minori. Solo nel 2024 gli accessi sono stati oltre 136, mentre nei primi sei mesi del 2025 le segnalazioni sono già arrivate a quota 80. Numeri che raccontano non solo la diffusione del fenomeno, ma anche la crescente capacità del sistema sanitario di riconoscere e accogliere chi subisce abusi.

Il Percorso è stato istituito ufficialmente nel 2018 e si attiva soprattutto all’interno del Pronto Soccorso, dove il personale – adeguatamente formato – è in grado di intercettare situazioni di violenza domestica, abusi relazionali, maltrattamenti fisici o psicologici. La gestione delle segnalazioni è affidata a un team multidisciplinare guidato dalla referente Marzietta Montesano, che coordina l’intervento con il massimo rispetto per la riservatezza, la sicurezza e la dignità della persona.

Il Codice Rosa: riconoscere i segni del maltrattamento

Quando un operatore sanitario sospetta una condizione di violenza, può assegnare alla persona un Codice Rosa, che si affianca a quelli normalmente usati per le urgenze cliniche. Questo consente di attivare immediatamente una rete di professionisti specializzati. È grazie a questo sistema che molte situazioni di rischio vengono oggi individuate già al momento del triage, permettendo l’avvio di un processo di cura non solo medica, ma anche sociale.

Una raccolta dati condotta dal professor Maurizio Pompili, direttore della UOC di Psichiatria dell’Azienda, ha evidenziato un dato allarmante: il 67 per cento delle persone arrivate in Pronto Soccorso con Codice Rosa era già stata precedentemente nella struttura. Questo significa che la violenza tende spesso a ripetersi, e che ogni accesso può essere l’occasione decisiva per riconoscere e spezzare il ciclo dell’abuso.

Il profilo delle vittime adulte: età, contesto e motivazioni

Analizzando il profilo degli adulti accolti, emerge una prevalenza femminile significativa: oltre l’81 per cento delle vittime sono donne, mentre gli uomini rappresentano poco meno del 19 per cento. L’età media varia dai 31 ai 49 anni, ma non mancano giovani tra i 18 e i 30 anni e persone sopra i 50.

Nel 66 per cento dei casi la violenza avviene in ambito domestico, tra le mura di casa. Solo nel 39 per cento delle situazioni si registra la presenza di testimoni. Le motivazioni sono prevalentemente legate a conflitti familiari o relazionali: il 72 per cento degli episodi nasce da litigi, mentre solo una minoranza risulta collegata a uso di sostanze o a violenze sessuali.

L’adesione al percorso, inizialmente, è alta: oltre tre vittime su quattro accettano di essere inserite nella procedura protetta. Tuttavia, solo una parte riesce a completare tutto il percorso. Spesso, dopo la prima fase di accoglienza, si preferisce essere indirizzati verso strutture protette o centri antiviolenza, mentre l’attivazione di un percorso ospedaliero completo avviene in poco meno del 16 per cento dei casi.

I minori: tra i più fragili, spesso vittime in famiglia

Tra i 41 minori presi in carico dal 2020, la media d’età si attesta intorno agli 11 anni. Si tratta quasi sempre di bambini italiani e, nel 70 per cento dei casi, l’autore delle violenze è un genitore. Il dato evidenzia quanto sia fondamentale la capacità degli operatori di cogliere i segnali più nascosti, soprattutto nei contesti familiari dove i minori non hanno ancora la possibilità di difendersi o denunciare.

Un’équipe ospedaliera formata e specializzata

Alla gestione del percorso contribuiscono numerose figure sanitarie e sociosanitarie. Il team è composto da medici emergentisti, infermieri, ginecologi, psichiatri, pediatri, psicologi, assistenti sociali, personale della Direzione Sanitaria, oltre a un medico legale e un avvocato che supporta lo staff nella gestione dei casi più complessi. A ogni accesso, viene valutata la situazione globale della persona e, quando necessario, attivate tutte le risorse disponibili per garantirne l’incolumità e il proseguimento del percorso di uscita dalla violenza.

Come spiega la dottoressa Marzietta Montesano, l’efficacia dell’intervento dipende da quattro fattori chiave: tempestività, empatia, riservatezza e protezione. È intorno a questi elementi che si costruisce la possibilità per una vittima di trovare il coraggio di aprirsi, raccontare e chiedere aiuto.

Presidio delle Forze dell’Ordine e impegno istituzionale

Il Pronto Soccorso del Sant’Andrea ospita anche un presidio fisso delle Forze dell’Ordine, oltre a un servizio di vigilanza interna, che garantisce un contesto sicuro sia per le vittime che per il personale. L’intero progetto si inserisce in una rete di coordinamento nazionale e regionale che assicura la continuità assistenziale anche dopo le dimissioni, accompagnando le persone nei percorsi legali e nelle fasi pratiche del reinserimento.

Montesano sottolinea come il sostegno delle Istituzioni sia stato sempre presente e concreto. La cabina di regia sul territorio, infatti, consente una risposta integrata capace di affiancare le persone anche nella gestione quotidiana delle difficoltà legate all’abuso.

Non abbassare mai la guardia

“Questo percorso è, e resterà, un presidio strategico per la tutela delle persone più fragili”, afferma Montesano. “Abbiamo imparato che la violenza non ha un volto solo, né un’unica dinamica. Per questo lavoriamo ogni giorno per offrire una risposta umana, tempestiva e completa a chi ha il coraggio di chiedere aiuto. Ma è fondamentale non spegnere mai i riflettori. Solo mantenendo alta l’attenzione pubblica possiamo davvero cambiare le cose”.

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